Anche il “like” della nonna vale!

By

Chi non ha mai dato un like ad un post fatto da un parente stretto o un amico solo per via del legame emotivo, scagli la prima pietra. E naturalmente troviamo quasi patetico quando si vede che il post di turno viene gradito e rimbalzato dalla mamma, dalla nonna eccetera. La quale magari non l’ha nemmeno letto, ma l’amor di nonna spinge a fare click col ditino senza porsi troppe domande.

Allo stesso perverso meccanismo però non sfuggono neanche articoli, post e tweet in ambito professionale, dove si arriva a fare il like a se stessi in uno slancio di puro narcisismo.

Le campagne social sono valutate sui numeri e quindi, pur di far numero e dimostrare il successo raggiunto, tutto fa brodo, anche il click della nonna, dei dipendenti dell’azienda, dei colleghi, degli amici cari che non negherebbero un like a nessuno. Così ci si ritrova a contare i numeri di un consenso che non è democraticamente guadagnato e pare abbondantemente fittizio. Al punto che chi deve tirare le somme si domanda se, una volta depurata la campagna degli amici e dei parenti, resta ancora qualcosa e se l’idea di usare i social networks per diffondere un messaggio non sia stato un investimento inutile.

Con la premessa che ai tempi dei media tradizionali nessuno si è mai chiesto quanta dispersione ci sia stata in una campagna, quanti telespettatori abbiamo disgustato ad ora di cena con lo spot del callifugo rispetto a quanti fossero davvero interessati, urge mettere sul tavolo una considerazione tanto banale quanto fondamentale: i social networks non sono il vecchio media.

Il potere straordinario dei social non sta nella reach istantanea di massa, la grande bomba che in un attimo colpisce tutti quanti. Il potere sta nel dipanarsi relativamente lento ma inarrestabile di un coinvolgimento attraverso i nodi della rete, seguendo percorsi che a tavolino forse non abbiamo nemmeno immaginato.
Il meccanismo si basa sulla fiducia e sulla comunione di interessi: ascolto quello che le persone a me vicino dicono perché in qualche modo possono interessarmi o riguardarmi. Così facendo una messaggio che viene dall’esterno, anche portando un’informazione pubblicitaria o di carattere generale riesce a penetrare le cerchie di amicizie più prossime e di passaparola in passaparola arriva fino a me aggirando ostacoli e vicoli ciechi. A questo punto, la prima grande difficoltà, ottenere la permission per recapitare il messaggio, è già risolta. Se il contenuto è di mio interesse è possibile che io lo spinga ulteriormente facendogli guadagnare ulteriore reach. Altrimenti, sono comunque stato raggiunto al termine di una catena perlopiù imprevista che è partita magari proprio dal click della nonna di uno sconosciuto. Qualcuno si è fidato della nonna (e chi non si fida della nonna?), ha accolto il messaggio e di click in click il questo si è guadagnato l’audience che si aspettava.

Per dirla in termini un po’ più professionali, se il contenuto e la forma in cui il messaggio è scritto (storytelling) sono all’altezza, le probabilità di viralizzazione aumentano perché si stimola il meccanismo dell’engagement, ma il meccanismo di base dei social, la permission accordata a qualcuno di fiducia, è sufficiente per innescare la reazione a catena che porterà il messaggio ben lontano dall’inconsapevole nonna.

E in questo senso possiamo affermare che sì, anche il click della nonna vale.

Quanto esattamente vale, se vi erano delle aree di miglioramento e in conclusione se ho investito bene il budget di comunicazione è invece il grande capitolo che riguarda la misurazione dell’efficacia di una campagna social, ma anche per questo oggi si possono dare delle risposte precise.

www.mediaforhealth.it