Facebook e rapporto di lavoro: quando il like non piace all’azienda

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Facebook e rapporto di lavoro. Ancora una volta la giurisprudenza è tornata a pronunciarsi circa il comportamento dei dipendenti sui social network.

Il T.A.R. Lombardia, con l’ordinanza n. 246/2016, ha confermato la sospensione dal lavoro e dalla paga nei confronti di un dipendente di un’amministrazione pubblica responsabile di aver screditato il datore di lavoro per aver cliccato il famoso “mi piace” ad una notizia pubblicata su Facebook, potenzialmente dannosa dell’immagine dell’amministrazione.

La giurisprudenza non è nuova a tali pronunciamenti e numerose sono le sentenze che vedono condannati dipendenti responsabili di aver arrecato un danno al datore di lavoro mediante l’utilizzo improprio dei social network (si veda il precedente articolo dal titolo “Comportamento dei dipendenti sui social network“).

Con tale ultima pronuncia i giudici amministrativi milanesi hanno affermato che anche un semplice like, potenzialmente idoneo a nuocere l’immagine dell’amministrazione datrice, assume rilevanza disciplinare, specie se sotto il post vi sono anche “commenti riprovevoli” sulla vicenda.

La questione di sicura rilevanza, visto il numero di iscritti al famoso social network, pone al centro dell’attenzione il contrasto tra il diritto di critica e la violazione dell’obbligo di fedeltà.

L’obbligo di fedeltà impone al lavoratore di non tenere comportamenti offensivi nei confronti del datore di lavoro anche al di fuori dell’attività lavorativa e tale va inteso anche come affidamento fra datore di lavoro e lavoratore sul corretto svolgimento della prestazione lavorativa.

Di contro il diritto di critica nei confronti del datore di lavoro, costituisce specificazione della libertà di manifestazione del pensiero, costituzionalmente riconosciuta dall’art. 21 Cost. e nuovamente affermata nell’art. 1 dello Statuto dei lavoratori.

Si tratta di due interessi di rango primario che negli anni la giurisprudenza ha cercato di contemperare affermando il principio secondo cui per il legittimo esercizio della critica sarebbe necessario che i fatti esposti corrispondano a verità, che la critica sia mossa per realizzare un interesse giuridicamente rilevante e che le modalità di diffusione siano congrue a difendere l’interesse rilevante.

Le modalità di comunicazione imposte dai social network, spesso limitate a pochi caratteri o anche solo ad un click, hanno però ulteriormente complicato il quadro della situazione rendendo difficile capire quando un  commento o la condivisione di un post travalichi il diritto di critica.

E sembrerebbe che, ultimamente, a condannare il web si sia schierata la giurisprudenza che, chiamata a decidere controversie del genere, si è soffermata più a condannare il mezzo di comunicazione piuttosto che le reali affermazioni dei lavoratori.

Pertanto considerati gli interessi in gioco, sarebbe consigliabile tenere distinta la vita social dall’attività lavorativa in quanto il limite fra il legittimo diritto di critica e l’infedeltà è ancora troppo labile.

Per maggiori informazioni sul tema Facebook e rapporto di lavoro, scrivere a Massimo Compagnino